venerdì 25 ottobre 2013

Gli veniva da ridere...

Come la sua coscienza potesse sopravvivere al corpo che le era servito da capro espiatorio… per ora continuava a essere un mistero, ma il suo vecchio corpo stava lì, sdraiato sotto ai suoi occhi, che non avevano più bisogno del cristallino per mettere a fuoco le immagini, non di una rètina per la loro decodificazione, e nemmeno di un nervo che gliele inviasse capovolte al cervello, il quale avrebbe poi dovuto raddrizzargliele, al puro scopo di mortificare la sua intelligenza che adesso, a chiamarla così, gli veniva da ridere anche senza una bocca per farlo. Bestemmiare in quella situazione non gli pareva proprio il caso perché ora, quella che non si meritava più di essere considerata una intelligenza, pareva essere diventata leggermente più lucida del solito, nello sconsigliarglielo. Di fatto la sua coscienza, diventata impalpabile ed eterea allo stesso modo di quando era in vita, stava galleggiando sopra il letto di una stanza d'ospedale con i muri ingialliti dal sudore esalato da altri moribondi che, come aveva fatto lui, attendevano che il fato beffardo si compiesse nei suoi soliti modi, in genere considerati di cattivo gusto da chi li subiva. Si lamentavano persino quelli che avevano avuto in sorte la dolce morte nel sogno, perché li aveva privati del diritto di ricevere il ringraziamento dovuto, a causa dei soldi lasciati in eredità, dal sorriso esagerato di parenti che non vedevano l'ora di lamentarsi a loro volta per l'ingiustizia subita dalla divisione squilibrata.
La sua attenzione si soffermò sull'espressione che il dolore aveva impresso al suo viso imbiancato dal trapasso, rendendolo quasi ridicolo e degno di scomparire dai ricordi che la mancanza di un cervello fisico considerava esuli.
La morte aveva tutta l'aria di non volergli dire più di quello che la sua intelligenza fosse disposta a capire, e questo era un problema che andava ad aggiungersi a quello dato dal non saper dove andare, così si acquattò in un angolo del soffitto, sforzandosi di dare una consistenza alla muratura con quello che gli restava della sua annichilita immaginazione.
Quello che la morte cincischiava a rivelare ci pensò la vita a dirglielo, attraverso l'entrata del medico che gli coprì la salma col lenzuolo che aveva un buchino vicino all'orlo non ricamato, fatto bruciandolo col mozzicone dell'ultima vendicativa sigaretta, fumata di nascosto un istante prima che gli buttassero via il pacchetto. Da quell'apertura provvidenziale il suo cadavere avrebbe potuto ancora comunicare visivamente col proprio fantasma, se avesse potuto vederlo, e se quella evanescente immagine avesse avuto modo di spifferargli qualche pettegolezzo su cose che la morte si guarda bene dal confessare.
Premendo inconsapevolmente contro l'angolo del soffitto il trasparente doppione del suo cadavere si ritrovò fuori dalla stanza, all'aperto, sotto un sole che attraversandolo non generava alcuna ombra, e pensò che, forse, la morte non fosse altro che il percorso, fatto a ritroso, dalla vita a ogni nuova nascita di un essere, dove il corpo è stato l'ultimo a essersi costituito, sulla forma cosciente dello spirito impressa nell'anima, e il primo a doversene andare con la morte che la vita vede quando si guarda allo specchio. Di seguito anche la coscienza si sarebbe appisolata, era solo una questione di tempo, e l'intero suo essere si sarebbe di nuovo rannicchiato in potenza in un embrione, che avrebbe sostato al di sopra del tempo in attesa di un nuovo ritorno, chissà quando e chissà dove, in una specie sconosciuta sopra un mondo diverso, ma con gli stessi identici problemi che non aveva saputo risolvere qui, sulla Terra dei suoi avi.

Si diede quindi un'ultima scrollatina, come quella che si danno i cani appena usciti dall'acqua, nella speranza di togliersi di dosso l'angoscia, la stessa che soffoca come acqua chi attraversa l'esistenza senza saper nuotare, e si mise a piangere in assenza di lacrime, come fa il Cielo quando chiama a sé gli umani che non sono riusciti a trasformarsi in santi.

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