mercoledì 18 dicembre 2013

Bravo scrittore...

Cosa determina la "bravura" di chi racconta storie? La qualità dell'impronta che lascia? L'emozione che suscita nel lettore? E attraverso quali parametri è misurata quella qualità? È evidente che il "bravo" per me non è detto che lo sia anche per altri, perché la qualità di questo attributo è in stretta relazione con la qualità di chi ne giudica il valore. Ma ciò che è considerabile da un punto di vista particolare, perché soggettivo, cambiando visuale lo dev'essere anche sul piano generale e oggettivo. Dunque ci dev'essere un modo per essere "bravo" che sia indiscutibile. Eppure è noto a tutti che la qualità sia difficile da valutare attraverso una misurazione, perché di norma la misura ha un carattere relegato al lato quantitativo della realtà relativa. È noto a pochi, invece, che la qualità sia misurabile attraverso il senso, del quale essa costituisce l'espressione. Senso che significa, all'interno dell'estensione spaziale, direzione e orientamento. Spaghetti e zucchero sono composti dagli stessi carboidrati le cui molecole hanno, però, un diverso orientamento spaziale che differenzia le qualità proprie alle due sostanze. Nella sfera strettamente intellettuale la direzione è data dall'intenzione, che orienta lo scrivere, nel caso di cui stiamo trattando, dandogli quello che è chiamato il suo "senso". Ora risulta evidente quanto un senso abbia necessità, per esprimere le qualità racchiuse nella direzione da esso rappresentata, di avere un punto preciso che sia un riferimento centrale, un asse fisso nei confronti della rotazione che genera le sequenze di eventi che la vita è. Quel punto è il centro della circonferenza, la quale simboleggia l'esistenza, nel suo racchiudere potenzialmente tutte le indefinite direzioni che univocamente sono dirette verso la stessa centralità dalla quale hanno avuto origine differenziandosene. Centro al quale ogni punto sulla circonferenza deve essere rivolto, se vuole avere la massima qualità che gli è possibile raggiungere. Infine, la scrittura non è necessariamente un girare attorno alla morte, né gli eventi passati possono essere assimilati all'assenza che il morire determina. Non c'è alcun bisogno di recintare lo scrivere in confini arbitrari che devono la loro rigidità alla non comprensione dell'elasticità che consente al senso di adattarsi, in funzione della distanza che separa il significare dal suo vero significato. È in questo abisso che la vertigine si specchia, nel tentativo di comprendere le proprie essenziali ragioni di essere, nascoste nelle proprie paure nate dall'impossibilità di valutare l'immanenza e la trascendenza di un Mistero nel quale siamo immersi.

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