venerdì 31 maggio 2013

Dolore e piacere


Ci si abitua al dolore come al piacere, si impara a sopportare perché la vita è sopportazione e tolleranza delle emozioni estreme. La sopportazione attenua gli spigoli che la nostra inadeguatezza al vivere si costruisce e le ferite si chiudono, lasciando cicatrici sulla pelle e nell'anima che non si dimenticano di noi. Ci si abitua persino al piacere estremo, diventando refrattari alle sensazioni piacevoli, e ci si estranea dal dolore acuto perdendo i sensi. In entrambi i modi si esce dolorosamente dallo stato usuale in cui si trova la nostra coscienza, rifugiandosi nel limbo ovattato del sogno incompleto, in attesa di tornare a gioire e a soffrire la vita sperando nella felicità eterna. Ma la felicità è uno stato d'animo in perenne movimento, che deve il suo esserci alla consapevolezza di sé e del mondo, e non si può essere felici quando si ignorano le ragioni per le quali quella felicità dovrà essere donata per non doverla sopportare.

Condizioni postume

Il non poter conoscere cosa accadrà dopo la morte determina le condizioni necessarie per essere liberi, perché è solo attraverso la libertà che le proprie azioni acquistano il giusto valore. Se si fosse certi del destino postumo si agirebbe in funzione di quello, e la libertà di scelta ne sarebbe condizionata anche se, vien da ridere a dirlo, la maggior parte delle persone non smetterebbe di sgomitare per accaparrarsi il paradiso.

giovedì 30 maggio 2013

Il ritardo della verità

L’apparente ritardo attraverso il quale il tempo manifesta la verità è dovuto al fatto che si considera la realtà come se fosse tutta nella dimensione che stiamo vivendo, mentre essa è enormemente più complessa nel suo stare su piani diversi tra loro, anche se comunicanti. Non potendo avere coscienza degli altri piani successivi noi crediamo che la verità arrivi sempre tardi ma, in realtà, arriva quando è il momento migliore per manifestarsi. Anche nel suo avere conseguenze.


La busta

— Porcazza troia, guarda quello che faccia di cazzo che tiene, cosa avrà da guardarmi così?
— Che adesso uno non può più strafarsi in pace?
— Che gli frega a lui?
— Mica faccio del male alla sua famiglia no?
— Sti maiali pensano solo ai cazzi altrui!
— Mo' adesso devo farmi, e di brutto anche, ché è mezza giornata che sto a secco
— Dove minchia mi pungo che ciò tutte le braccia blu, lo sa solo dio
— Fanculo a lui e a tutti i santi che gli tengono il moccolo
— Drogati di palle vuote che sono!

— Ciao Hugo—
— Ciao Fede—
— Che c'hai mica una busta, che te la pago domani?
— Anche piccola e te la pago normale—
— Sì, ce l'ho, ma è così piccola che la troverò solo domani—
— Eddai! Sto male non vedi?
— Sto in para dura—
— Ti sei già sparato anche i batuffolini di scorta?—
— Oeh! Che no?—
— Credi che a me la regalano?—
— Dai lo so che è brutta anche per te, ti supplico, solo per stavolta—
— Non se ne parla neanche, poi se non li pago Quelli sparano alle mie di gambe—
— Fanculo Hugo, mi lasci morire così?—
— Ognuno c'ha la sua di croce, Fede—
—C azzo Hugo, lo sai che è la croce che c'ha su me—

— Hugo, Fede, è ora della funzione, sbrigatevi, presto che è tardi e la Chiesa è già piena!—
— Sì Padre, arriviamo—

— Porca troia Fede, dove cazzo mi hai nascosto la veste?—

— Me la dai la busta o no?—

La famiglia "normale" e la famiglia gay


Cosa debba essere la normalità, nell'universo dove nulla si ripete identico a se stesso è difficile dirlo, quando ci si riferisca al dover stabilire una media che appiattisca le differenze individuali. Appiattire realtà diverse tra loro, allo scopo di poterle riunire in una media, significa commettere una ingiustizia verso coloro che stanno in alto rispetto a quella mediocrità, ma anche verso coloro che le stanno in basso e pure nei confronti di chi sta in mezzo alle due tipologie, perché esso si ritroverebbe associato a chi non ha molto da condividere con lui. Questo perché per "normalità" si intende la mediocrità, e alla mediocrità è associata una qualità bassa perché troppo simile a tutte le altre. Così facendo si commettono diverse ingiustizie, attribuendo a una situazione l'etichetta di "normale": le si assegna scarsezza qualitativa, la noia attribuita alla ripetizione banale e un livello di realtà che è uniforme, scontato, che non suscita interessi, non creativo e che, in definitiva, è inferiore persino alla normalità nella quale la si voleva confinare. Dunque per "normale" si intende l'inferiorità nel suo rapporto con l'auspicabile, con la realtà da raggiungere. La realtà, nel senso più generale possibile, è tutto ciò che è manifesto e anche quello che manifestato non è, ma è presente, potenziale e si manifesta quando ci sono le condizioni per poterlo fare, come è la realtà del pensiero. La realtà è caratterizzata da forme dalle quali è costituita, ma non solo, perché l'idea è informale prima che sia stata tradotta in pensiero e, di seguito, in azioni. La realtà è formata da elementi, tutti sempre diversi tra loro, che sono legati da una catena di cause e di effetti i cui componenti devono il loro esserci alla collaborazione di altri elementi, in un insieme nel quale ognuno ha necessità della presenza di altri per continuare a esistere. Questa è la normalità. La vera normalità è costituita dalle leggi armoniche che ordinano la realtà rendendola adatta all'esistere. Sono normali le leggi che sono norma del tutto. Un tutto che c'è e ha modalità di funzionamento qualitative e quantitative, ha proporzioni e misure, alti e bassi, interni ed esterni, rapidità e lentezza e rapporti analogici che legano il piccolo al grande e il grande al piccolo del quale è la somma. Un tutto in continuo movimento per l'azione di una di queste leggi fisse che gli impone di muoversi, e che a sua volta non si muove, sacrificandosi per non sacrificare il tutto. Questa è la normalità. La realtà relativa vive attraverso il sacrificio di ciò che non vive per darle modo di essere, ed è un esserci che ha per fine la consapevolezza di sé e delle ragioni per le quali si è, nella continua ricerca della perfezione assoluta, verso la quale tendono tutte le perfezioni relative. Ho scritto questo preambolo allo scopo di analizzare la questione spinosa che si solleva quando si parla del diritto di esistere, e di esercitare la propria libertà, che hanno le coppie gay. È detto che la famiglia è "normale" quando composta da una donna e un uomo, come se l'accostamento dei due generi che insieme possono replicare la vita sia la cosa più importante di tutte, perché la vita è la cosa più importante al mondo. Questa convinzione riferita alla vita, che le assegna più valore che ad altro, è comunissima, così comune da spingere le persone a dire che la cosa più importante è la salute. Questo comporta il fatto che quando qualcuno sacrifica la propria salute per salvare quella di qualcun altro… questo qualcuno avrebbe commesso un errore perché la sua salute è la cosa più importante al mondo. Invece c'è un valore più importante della vita stessa, ed è rappresentato dalla capacità di sacrificare se stessi per amore dell'altro diverso da sé. La vita certamente è importante, è sempre lei che deve essere salvaguardata e generata, ma l'amore lo è di più. L'amore tra due persone dello stesso sesso, quando è amore, vale più della stessa vita, perché la vita deve il suo esserci a un sacrificio di amore. La diversità tra gli esseri, che è legge universale, non cessa per questo diritto gay di continuare a differenziare il tutto nei suoi componenti, e donne e uomini continueranno a generare la vita senza essere ostacolati dalle coppie gay, le quali per il loro amarsi devono godere degli stessi diritti delle coppie eterosessuali, perché il loro non poter figliare è solo una contingenza rispetto alla realtà d'amore che le unisce. Ogni avvenimento che è per amore è "normale", a differenza di quelli che avvengono per odio, e tutti coloro che deprecano l'amarsi delle coppie gay stanno dalla parte dell'odio, e non sono normali nei confronti dell'amore e del diritto di esercitare la propria libertà di scegliere chi essere e come essere. Il Mistero assoluto del quale siamo i figli è Libertà assoluta, una libertà che è anche sacra, e verso la quale l'Assoluto nulla può perché essa, quando è assoluta, è il Mistero stesso che non può contraddirsi. Siamo liberi di essere e di scegliere perché non c'è altra via per raggiungere la perfezione del nostro stato, e questa libertà relativa di cui godiamo è la misura armonica con la quale costruiamo noi stessi, migliorandoci o peggiorandoci, alla ricerca del Vero in ognuno di noi. Questa è la vera normalità, molto lontana dalla mediocrità di vedute che appartiene a chi antepone la propria salute all'amore per il prossimo.

mercoledì 29 maggio 2013

Ci sono giorni...

Ci sono giorni, e oggi è uno di quelli, dove si è preda di stati d'animo contrastanti che ti fanno intendere sia una soluzione migliore, per non farsi coinvolgere, quella di chiudersi a riccio. Non come un riccio che sta per essere investito da un'auto, però. L'ideale sarebbe occuparsi di un problema, uno di quelli che aspettano la pigrizia si sia addormentata per riuscire a essere risolti. In mio soccorso è arrivata la lavatrice nuova, che ha sostituito la vecchia da ventidue anni di lavoro azzoppata. Già portarla in casa è stata un'impresa, montarla un po' meno, ma non avendo letto il manuale le ho lasciato i tamponi dietro che fissavano il motore, distanziandolo equamente dalle paratie laterali della macchina. Primo lavaggio con centrifuga che vortica a 1400 giri al minuto... Impossibilitato a essere libero dalla lamiera esterna il motore non poteva utilizzare le molle che ne attutiscono le vibrazioni, e a quella velocità la centrifuga ricorda la turbina di un F 104, il Jet chiamato "La fabbrica delle vedove". Mia moglie tentava di non farle sfondare il muro mentre io, aggrappato agli spigoli del Jet, ero stato trascinato con la pancia sopra di lei, come accade al cowboy che è arrivato ultimo a un rodeo di tori selvaggi. La lavatrice, era evidente, ce la metteva tutta per ammazzarci entrambi, e pareva privilegiare la mia persona, forse perché sono un maschio che con le lavatrici non ha mai legato intimamente. Alla fine ce l'abbiamo fatta, con l'aiuto del manuale, a sistemare la belva al posto che le era stato assegnato dai quattrocento euro avventatamente dilapidati. Passato l'incubo la giornata è migliorata insieme al mio stato d'animo, che è già pronto a intristirsi domani, in attesa di un altro problema da risolvere.

Stati d'animo


Gli stati d'animo spesso sono volubili e pericolosi, nel loro dare troppo importanza ad accadimenti negativi che saranno presto dimenticati; altre volte le emozioni perdurano a lungo nel tempo, quando sono estreme come è l'amare o l'odiare, ma col passare del tempo non pretendono più soddisfazione, e imparano a guardare dentro le più remote pieghe del loro essere state, e il rammarico sgorga per non aver visto in tempo quello che il tempo ha mostrato.

Gli ultimi saranno i primi

In questo mondo quando si ama la libertà si sarà prigionieri, se si cerca la giustizia la giustizia si farà desiderare, se si è generosi si sarà al centro dell'egoismo altrui, e quando si conosce la verità la menzogna tenderà agguati fino a soffocare ogni speranza di poterla affermare. Questo è il mondo dove chi ricerca il piacere trova la sofferenza, e chi soffre trova la pace solo nel riuscire a sopportare. È il mondo dove la materia impera, ed è il regno dove il male prospera. Per questo gli ultimi a godere della materia saranno i primi a gioire nello spirito, perché la materia è il capovolgimento dello spirito, così come la menzogna capovolge la verità.

Umanità tossica


Un nuovo essere era sorto dalla profondità del buio cosmico o, semplicemente, da un buco nero come la coscienza che lo avrebbe assecondato, e l'ambiente attorno lo osservava con giustificato sospetto, almeno per quello che se ne sa oggi. La vegetazione aveva, da qualche migliaio di secoli, tirato un sospiro di sollievo per l'estinzione della specie dei dinosauri che l'avevano costretta a produrre ogni sorta di tossine, prima di sintetizzare quella buona che la liberasse da quell'afflizione, e adesso il sospetto che questo nuovo essere potesse diventare pericoloso per lei la metteva in allarme. Erano quelli i tempi nei quali una certa conoscenza infusa era generalizzata, oggi la chiamiamo "Età dell'Oro" proprio per quella caratteristica. Praticamente tutto l'esistente era consapevole che il proprio esserci era frutto della divisione di un'unità primordiale, alla quale si sarebbe dovuti tornare, e apparentemente solo questo ultimo nato, che chiameremo per comodità "uomo", non lo sapeva. Si potrebbe dire che il declino ciclico accelerò i suoi primi stentati passi proprio con l'entrata in scena di questo viscido essere. L'uomo era la tossina contro tutti i beni possibili, perché aveva quella che l'umanità chiama "La coscienza del bene e del male". Bastò poco all'uomo per dare alla coscienza un carattere di assolutezza, perché la coscienza rimane ferma, rispetto al pensiero che la violenta di continuo, imponendole le proprie opinioni, e alla coscienza non resta che piangere, aspettando il cambiamento che la trasformerà in consapevolezza attiva che sa trasformare la vendetta in giustizia cosmica.

lunedì 27 maggio 2013

Il timore cosciente della nostra coscienza

Che accadrebbe se ognuno di noi giudicasse gli altri usando il metro di misura che usa per sé? Difficile dare una risposta univoca, perché alcuni si amano senza ragione, altri si amano con ragioni, altri ancora si odiano senza ragioni e, infine, ci sono persone che odiano se stesse, ma non abbastanza, con tutti i motivi che avrebbero per doverlo fare. A queste complicazioni se ne aggiunge un'altra, la più terribile, perché la vita vera è giocherellona e irridente verso la menzogna, così, appena si pensa a qualcosa che non sia in linea con la verità... scatta il pensiero opposto, quello al quale diamo il nome di coscienza, che non è necessariamente un portatore di verità, ma di certo non si lascia sfuggire nessun pensiero che non appartiene alla coscienza di quale potrebbe essere la parte migliore e la parte peggiore di sé. La coscienza non conosce esattamente quale sia l'unica e completa Verità, madre di tutte le piccole e incomplete verità partorite nel mondo, la coscienza non è la consapevolezza eppure, nonostante non sappia guardare in viso il Vero, ha un fiuto esagerato nel saper individuare le bugie, e su quelle scatena il risentimento nutrito verso la limitazione data dall'avere dei dubbi. La nostra coscienza è il nostro giudice personale, il quale ci giudica non conoscendo le leggi che danno la vita, regolando l'universo, dunque si limita a contrastare quelle che riconosce essere delle contraddizioni al bene comune il quale, dello stesso universo, è legge fondamentale.

domenica 26 maggio 2013

Verità e menzogna


La verità cuce la realtà stringendola a se stessa, senza trascurare un solo punto, senza che il filo possa rompersi. La menzogna le scorre sopra ordendo e tramando, ma non può entrare dentro, perché la verità non ha un buco che si è scordata di chiudere, perché se lo avesse esso sarebbe un vero buco senza poter sfuggire alla verità di ciò che si è. Così la verità è sempre viva anche quando è coperta dalla menzogna, e la menzogna è sempre morta anche nel suo strepitare. Lo si vede nel ridicolo che avvolge ogni parodia della verità, perché la menzogna è piena di buchi dai quali la verità sbuca, nel suo mostrare la differenza che separa ogni caricatura che imita la verità, dalla sacralità immobile del vero.

venerdì 24 maggio 2013

Che animale vorresti essere?


Vorrei essere l'animale che sono, perché finora lui è riuscito, senza troppa fatica, a contenere le intemperanze di un'intellettualità tanto immatura da non essere in grado, quando chiamata in causa, di far sopravvivere l'animale per più di quattro ore filate in mezzo alla natura, ma non quella crudele e selvaggia piena di ruggiti, bensì l'altra, chiamata parco cittadino, dove l'omino che vendeva noccioline è tornato a casa, dopo averle esaurite.

La Verità è infinita


Infinito. Una parola che non dà tregua all'intelligenza, almeno alla mia. Sul fatto che l'Infinito non abbia un inizio ci si può anche astenere dallo sbrigliare l'immaginazione, ma che non abbia fine lascia stupefatti tutti quelli che vivono nell'obbligo dato dal dover prevedere una fine. Naturalmente l'intelligenza, almeno la mia, dice che l'universo non può essere infinito; è una questione di logica quella che dice esserci una gerarchia che vuole la causa essere sempre maggiore degli effetti che avrà. Dunque, essendo l'Infinito privo di limiti, ed essendo il limite la prova di un'inferiorità nei confronti di ciò che limiti non ha, si è costretti ad ammettere che l'universo dei limiti deve averceli. La mia intelligenza, nonostante i miei tentativi di tenerla a freno, dice anche che l'universo potrebbe essere definito come la somma dei limiti dai quali è circoscritto. Lo vedo anch'io che parrebbe una cavolata dirlo, ma lo è solo dal punto di vista umano che ha tutta l'aria di essere un fanatico del limite. In definitiva (non ho trovato un'espressione meno adatta) ci troviamo immersi in una sorta di bolla i cui orizzonti fuggono come l'orizzonte che recinta casa mia. Quando un limite mostra di essere irraggiungibile dice anche di appartenere a una sfera. Non si fatica ad ammetterlo dal momento che tutto il cielo sopra di noi è approssimativamente sferico, come lo sono i pianeti e le loro orbite. Approssimativamente si è costretti a dirlo perché la dimensione materiale è piuttosto distante dal riuscire a essere perfetta, e non sta a me fare di più per convincere un umano sul significato da attribuire all'imperfezione. Il movimento al quale ogni cosa esistente è sottomessa è lì a dircelo, perché la perfezione ostacolerebbe ogni doversi muovere. Ogni passo è compiuto per aggiustare un movimento che ha perduto il proprio equilibrio, ed è una pena dover fare tanti passi per non arrivare da nessuna parte, almeno questa è l'accusa che la mia intelligenza fa a se stessa. Vien da pensare che anche il nostro cuore pulsi continuamente perché a ogni battito sistolico che non lo soddisfa del tutto... lui ne oppone uno distolico che non lo soddisfa del tutto, e quando è innamorato quello squilibrio aumenta enormemente d'intensità. In presenza dell'amore tutto il cosmo accelera il suo correre, i passi si fanno svelti, il cuore diventa un tumulto di emozioni e l'orizzonte pare essere più lontano, perché quando ti vede correre corre anche lui di conseguenza. Infinito è una una parola che obbliga a correre, e pare quasi sapere che l'intelligenza individuale di chi corre ha sùbito il fiatone dato dall'essere interessata più a se stessa che alla temuta, perché tanto difficile da conoscere, verità.

Complimenti cosmici

Certo che il fatto ci siano state messe così tante stelle sopra la testa non può esimerci dal sospettare che il Padreterno sia poco convinto della capacità che ha la specie umana di capire che non ci siamo solo noi nel cosmo, e che se anche dovesse disgraziatamente essere, quelle ci fissano di sicuro non per farci i loro complimenti...

giovedì 23 maggio 2013

Un gioco troppo grande?

L'esistenza di certo è un gioco troppo grande per la maggior parte degli esseri che abitano l'universo, ma è il troppo grande che consente di correre a perdifiato... Poi c'è chi corre per raggiungere e chi per fuggire e la morte è una specie di bonus dato a entrambi, non per ripetere il percorso già fatto, ma per continuare a correre dietro alla perfezione.

Tanti modi diversi di amare la libertà


Ci sono molti modi di essere anarchici, e sono modi che hanno avuto i loro rispettivi riscontri storici: si può essere anarco-individualista, anarco-comunista, anarco-insurrezionalista, anarchico perché si ama la libertà di essere ciò che si desidera essere senza ferire gli altri che anarchici non sono. In realtà anarchico vuole semplicemente significare la volontà di non avere padroni diversi da sé, e da questa ottica difficilmente qualcuno potrebbe dissentire. Purtroppo, però, a rendere la libertà difficile da realizzare c'è la vita coi suoi princìpi i quali, valendo per tutti, non sono padroni di nessuno. Questi princìpi sono sintetizzati dalla magnifica parola "Libertà", termine che indica anche il fine ultimo dell'esistenza, lo stesso per tutte le religioni del pianeta. È la stessa libertà che l'uomo ha di decidere chi essere attraverso il proprio fare e non fare. Libertà che è l'immagine relativa della Libertà assoluta nella quale l'Assoluto si manifesta nel regno della molteplicità. Gli esseri sono liberi perché l'Assoluto può tutto tranne che contraddire se stesso, e l'Assoluto è libertà assoluta. È grazie a questo che noi desideriamo essere liberi e, godendo o soffrendo, lottiamo per riuscire a esserlo. La libertà regalata non è una libertà significativa, per questo non la si può regalare senza avere in cambio l'insulto di chi sa che la propria libertà è un diritto che deve essere conquistato da sé. Se l'essere anarchici prevede un credere di avere diritti senza alcun dovere, se implica il dover godere di ciò che non si è capaci di vivere senza farsi del male e senza far del male agli altri, allora non è anarchismo, ma solo voglia di fottersene dell'armonia, sia quella del cosmo che quella individuale che ha il granello di polvere di entrarci in un occhio. L'essere anarchici di un prete non è uguale all'essere anarchico di chi non ha nulla da dare e tutto da prendere, non è la pretesa che non ci debbano essere princìpi legiferanti, questo perché la realtà è governata da leggi fisse che non cambiano, come varia il sentire emotivo al mutare delle latitudini. I princìpi che non cambiano sono detti universali, perché costituiscono le modalità attuative attraverso le quali la realtà regge se stessa nel suo mutare continuo. Un mutare che è imposto da uno di questi princìpi universali che non muta a propria volta, perché se questa imposizione cessasse di essere la vita la seguirebbe in quel cessare di essere. La qualità e la quantità sono altri due princìpi fissi e validi per tutto ciò che è, così come la corrispondenza analogica che lega il sopra col sotto e il dentro col fuori, il microcosmo col macrocosmo e la nostra interiorità con le azioni che compiamo. La capacità di riuscire a considerare, senza semplificare riducendo tutto alla portata della nostra comprensione, appartiene a pochi, ma i molti non hanno strumenti per negarla perché negare i princìpi costitutivi dell'universo significa negare l'Intelligenza che ordina l'esistenza, e che dà a tutti la possibilità di desiderare prima e compiere dopo quella libertà che è sacra proprio perché non è di nessuno, nel suo essere il miraggio di tutti. Solo chi saprà cogliere nel sacrificio di sé la chiave per andare oltre ogni limitazione connaturata alla vita, potrà superare gli ostacoli che la vita dispone di traverso davanti a ognuno, perché è superando l'ostacolo che si impara a saltare, così come è nel lasciare la presa la vera libertà di essere se stessi nel modo migliore di poterlo essere. Liberi come libero è il Mistero al quale dobbiamo sì la nostra pena, ma anche la gratitudine per averci messo nella condizione di poter lottare per ciò che crediamo essere giusto. Come potrebbe essere giusto qualcosa che appartiene soltanto a noi stessi senza includere tutti?

A Don Gallo


Stare dalla parte dei derelitti, degli sfruttati e della povera gente, è parte essenziale dell'insegnamento lasciato dal Cristo. Non ho scritto "cristiano" perché oggi l'essere cristiani può certamente implicare la comprensione dei princìpi mostrati dal vivere del Cristo, ma troppo spesso di quella comprensione non c'è traccia in coloro che nascondono dietro al cristianesimo i propri interessi personali. Finte chiese con dentro finti fedeli innalzano al Cielo soltanto il bisogno di coesione sociale, lo stesso che tiene unite le persone alle feste di paese. Il prete ormai ha un ruolo di coordinatore sociale, ed è anche discarica dove riversare peccati veniali che fingono di credersi gravi… allo scopo di riuscire a nascondere peccati inconfessabili. È in questo degradato scenario dove l'opus dei, la compagnia delle opere, comunione e liberazione, lo IOR dei faccendieri mafiosi vaticani hanno ridotto il cristianesimo a essere la squallida finzione che è; su questo palcoscenico della truffa l'essere il prete dei diseredati e degli afflitti ha il valore spirituale che solo il sapersi sacrificare per gli altri può rendere sacro. Il sacrificio di sé è la chiave che trasforma la sconfitta in una vittoria, il rifiuto di ferire diventa la propria ferita, dalla quale il sangue sgorga per offrirsi a chi ha sete. Il prete capace di vivere questa dimensione dell'essere non ha una collocazione politica diversa dall'essere un vero cristiano. Sono i falsi cristiani che spingono quel prete verso la parte avversaria, ma in realtà sono loro a essere la parte avversa alla verità di ciò che il cristianesimo deve essere. Don Gallo, come anche Don Ciotti, è un vero prete cristiano, e la sua vicinanza ai centri sociali e ai movimenti di sinistra è una vicinanza di intenti, non di princìpi, perché il pensiero comunista è materialista e tende a escludere la spiritualità, per questo non appartiene al vero cristianesimo. Non significa poi molto, per fortuna, perché le persone vivono scegliendo il lato della vita che pare loro essere quello giusto, e spesso lo fanno in contrasto coi valori che si sono date, così a volte anche chi è materialista, dunque disposto a dar fiducia alla pesantezza dell'insensatezza casuale, lascia dietro di sé e a bocca asciutta il proprio credere per inchinarsi al bisogno di aiutare gli altri. La parte nobile dell'essere di sinistra è, in questo modo, più vicina al cristianesimo di quanto essa non creda, più vicina di quanto non sia il Papa, con tutto lo Stato del Vaticano che trascina impettito dietro di sé un porporato che ha cessato di ricordare il rosso del sangue di Cristo per evocare quello versato dalle vittime delle speculazioni bancarie. Don Gallo è stato e sarà il prete dei poveri, non un prete comunista, allo stesso modo in cui un comunista che aiuta un disperato si trasforma in un, tanto vero quanto raro, cristiano.

mercoledì 22 maggio 2013

Smemorati in Paradiso

Credo si debba scrivere essenzialmente per se stessi o per insegnare. Poiché l'insegnare non è per tutti avanzerebbe lo scrivere per sé, l'unico in grado di far rivivere l'ampiezza dei propri limiti senza l'alterare tipico della memoria, che sistema i ricordi assaporandoli col sugo indigesto della convenienza personale. Per questo non converrebbe scrivere se si dovesse fare affidamento sull'Alzaimer, patologia della memoria capace di sollevare da una moltitudine di responsabilità, tanto che il Paradiso, oltre ad avere le bande di quartiere che non sanno suonare l'arpa, sarà pieno di smemorati...

martedì 21 maggio 2013

Un salvataggio in extremis


Da ragazzo ero un anarchico militante, uno dei pochi che si era letto tutti i libri che inneggiavano alla libertà. Tutti meno quello che non fu mai scritto. Crescendo ho cominciato a riflettere su alcune cosucce che la vita mi rifilava con sdegno, e ho dovuto ammettere che dei princìpi ci dovessero essere se l'universo tremava meno di quanto tremassi io. Ammettere non necessita aderenza, si può anche ammettere con qualche difficoltà, perché le vecchie convinzioni non lasciano la loro presa senza lottare; ma la vita è paziente perché sa che, alla fine, la verità viene a galla, anche dopo che la si è ammazzata. Così, presto o tardi la si deve ripescare, e fare la respirazione bocca a bocca non è facile, a una vita che è stata decomposta dalle illusioni facili, ma lo si deve fare se si vuole vederla risplendere nei suoi princìpi costitutivi. Alla fine si è contenti di averla resuscitata anche se, in realtà, è stata lei ad aver resuscitato te...

Una volta per tutte

— Un'altra volta ancora?
— Ma cazzo Maria!
— Quante volte mi sono raccomandato con te di non far giocare il bambinello vicino al pulsante della Creazione?—

— Già, parli Tu, che lasci in giro quel maledetto marchingegno sempre in posti diversi!
— E trovagli un posto fisso a quel coso, una buona volta!
— Poi chi è che lo dice che devo sempre riordinare io?—

— Maria! Non farmi incazzare che viene giù il diluvio...—

— Sei il solito Stronzo! Tu e i tuoi modi del cazzo di lavare la roba che sporchi...
— Ah... ma stavolta la facciamo fuori una volta per tutte, altrimenti riprendo il bambino e torno giù sul primo pianeta che capita!—

L'Aldilà


— Presto! Tutti in fila e senza far casino!
— Muovetevi voialtri che c'è da farne parecchia di strada!
— Quelli che di voi, nell'esistenza vissuta sulla Terra, hanno pensato che il paradiso fosse qui si mettano a destra, gli altri convinti che qui ci fosse l'inferno stiano sulla sinistra, e in mezzo camminino gli increduli certi che l'inferno fosse sulla Terra...
— Massa di coglioni che non siete altro!
— Il paradiso era quello sul vostro pianeta!
— Qui c'è solo da camminare, e il fatto che non abbiate le gambe non v'impedisce di usare i gomiti...—

Un vero diluvio


Ormai è un pensiero che si sta addentrando nella mente di molti. Un pensiero non è una certezza, impiega molto tempo per diventarlo, un tempo così lungo da rendere improbabile ogni reazione. Per decisione del Cielo Noè fu avvertito in tempo, ma qui è oltre un mese che piove senza interruzione, e la gente si attende ancora che il diluvio cessi. Nessuno ha ancora tagliato un tronco per costruire un'Arca, e tutti si stanno chiedendo chi sarà lo sfigato che dovrà farlo per primo. Nel frattempo sono in molti ad aver iniziato a vendere le prenotazioni in cuccetta...

lunedì 20 maggio 2013

Tanto vecchia


Certo che io ho un bel coraggio a predicare l'amore universale quando, in realtà, mi stanno sui coglioni i nove decimi delle persone che conosco. Non so per quale ragione io mi comporti in modo gentile con tutti, e sia disposto a stare in perdita col mondo intero; mi giustifico dicendo che lo faccio per selezionare gli individui, perché le persone le conosci solo creando situazioni che le spingano a mostrare da che parte hanno scelto di stare, ma non so se sia vero del tutto, forse un po' è per quello, e un altro po' per codardia. Vallo a sapere. È certo che nelle situazioni violente io non mi tiro indietro, dunque è una codardia diversa da quella che ti fa dare le spalle al pericolo. Direi che è una vigliaccheria sottile, di quelle messe in atto per sottrarsi dall'attrito che ha la verità quando ti si struscia addosso vogliosa, e a te pare sia una tardona bavosa da tener lontana con una pertica elettrificata, perché è troppo vecchia la verità per essere abbracciata con gusto, ed è così vecchia... perché non muore mai.

domenica 19 maggio 2013

Non è un nonnulla

Forse è colpa del mio aver lavorato per un fotolito a ritoccare le foto ricordo dei defunti, professione che mi metteva davanti agli occhi centinaia di pagine con le immagini di sorrisi invecchiati prematuramente, ma quando guardo un ritratto lo vedo come fosse quello di una persona deceduta. È un'inclinazione, la mia, che si è estesa a molti aspetti che ha la vita, e me la fa guardare con occhi disincantati come se l'esistenza fosse la cornice del cambiamento radicale che è chiamato morte. Nonostante questo riesco ancora ad arrabbiarmi per un nonnulla, e questa cosa mi fa arrabbiare perché non è un nonnulla.

sabato 18 maggio 2013

Una gara disumana


Una gara campestre in cui si parte senza sapere quanto si dovrà correre, dove più si fatica a saltare le siepi e maggiore sarà l'altezza di quelle successive, con l'assistenza che ti offre da bere in un bicchierino che si svuota prima di arrivare alla bocca, corsa di fianco a qualcuno che ti si dice amico mentre ti sgambetta, e quelli dietro ti sorpassano mettendoti i piedi in testa, sarebbe una gara simile alla vita se non ci fosse una coppa per festeggiare il vincitore...

Correlazioni


Ho scoperto la motivazione che hanno i folli che aspettano le persone, nascondendosi dietro agli angoli bui dentro a un mantello nel quale stanno nudi, per mostrare alla prima che passa i loro attributi sessuali... Sono seguaci della mela, la Apple di Steve Jobs, il profeta informatico che così scrisse: La gente non sa quello che vuole finché non glielo si mostra (Steve Jobs)
Povero Steve... non è riuscito a prevedere che anche il Cielo la pensa come lui:
La gente non sa vivere fino a quando non è mostrata loro la morte...

Felici di non sapere o felici di conoscere?

Come si possa cercare la felicità in un mondo di persone che soffrono resta un dilemma di facile soluzione che può avere una sola risposta: l'egoismo sfrenato. A meno che la propria felicità non la si cerchi nella felicità altrui, in quest'ultimo caso la risposta è altrettanto univoca: altruismo sfrenato. Ma si può essere sicuri che sia la felicità l'obbiettivo dell'esistenza? Un'esistenza che è molto più del suo aspetto emotivo, e la felicità è un'emozione. Non sarebbe il caso di guardare alle possibili ragioni che si possono avere per liberare questo pregevole stato emotivo? Quali dimensioni dell'essere sono in grado di assicurare un'emozione duratura nel tempo, considerato che poche cose sono labili, e soggette a variare d'intensità, come lo sono gli stati emotivi? Tutte queste domande necessitano di risposte, e questa necessità induce a pensare che solo il conoscere può assicurare una dimensione interiore così stabile da riflettersi nella felicità capace di mantenersi viva anche nelle difficoltà date dal vivere.

venerdì 17 maggio 2013

L'aspetto sentimentale nelle religioni


L'aspetto sentimentale è implicito nelle religioni, ed è questo che le distingue dall'universalità di valori che non mutano al variare della latitudine come mutano le religioni, le quali associano all'emozione che ognuno prova il loro credere o non credere. Per quell'aspetto sentimentale e continuamente mutevole si fanno la guerra, e ognuna accusa l'altra di essere in malafede. Come potrebbero comprendersi se ognuna è convinta di guadagnarci difendendo la propria trincea, la stessa dove è conservata nel fango la propria verità?
"Il mio dio è meglio del tuo!" si dicono a vicenda 
"Chi non crede nel mio dio non si salverà" 
"Pregate il Cielo e donate alla vostra chiesa" 
"Siamo l'unica via di salvezza!" 
"Siate misericordiosi con le genti delle altre fedi, perché la nostra le batte tutte!" 
"Noi siamo i buoni, gli altri ne hanno da fare di strada per raggiungerci!". 

Quanta differenza con quello che disse un santo di nome Ibn Arabi:

Il mio cuore è diventato capace di accogliere ogni forma, è un pascolo per le gazzelle, un convento per i monaci cristiani, è un tempio per gli idoli, è la Ka’ba del pellegrino, è la tavola della Torah, è il libro del Sacro Corano. Io seguo la religione dell’Amore, quale che sia la strada che prendono i suoi cammelli: questo è il mio credo e la mia fede.                                                   (Ibn Arabi  1156-1240)

Un funerale sereno


Mi farebbe contento sapere che nessuno ha pianto al mio funerale, e sono certo che così sarà, se si esclude mia moglie verso la quale mi sono tanto raccomandato che eviti di ridere troppo, perché è un attimo che si pensi che le sue possano essere lacrime di disperazione… Lei deve essere allegra come lo siamo sempre stati mentre ci guardavamo negli occhi ridendo delle ombre che fuggivano. L'unico che potrà piangere è il cielo, ma solo se pioverà quel giorno, e un cane, quello che seguirà il feretro cercando d'impietosire la mia amata moglie, nella speranza che lei decida di adottarlo come fece con me, quando si accorse che ero detestato dal mondo più di un cane con la rogna. La morte in uno stato è una nascita in un altro stato, e se non avrò la disgrazia di dover rinascere in Svizzera, non vedo una ragione per essere tristi…

Difetti da nascondere


Una delle cose che più contano per l'essere umano è la faccia, intesa come dignità personale da esibire al pubblico che esibisce la propria. Ogni uomo ha, però, un personale modo di misurare questa dignità e, in generale, la misura senza alcuna dignità. Così mantiene integra la propria idea di onore in modo da evitare di perdere una faccia che non ha mai avuto. Il mafioso in particolare è un esperto in questo tipo di manovre, e difende il proprio prestigio anche a costo di perdere la faccia migliore che avrebbe avuto senza quel prestigio da difendere. Tutti hanno una faccia, anche i santi ce l'hanno, con la differenza che il santo non teme di perderla perché l'ha già persa quando si è avvicinato a Dio. Per questa ragione l'essere santi induce a mostrare i propri difetti e a nascondere i pregi, per non dover mortificare chi santo non è ancora riuscito a esserlo. In Oriente questi speciali quanto rarissimi esseri, i quali hanno superato i limiti impliciti all'individualità umana addentrandosi nell'universale, sono chiamati "La gente del biasimo", e sono considerati i prediletti dal Cielo, coloro i quali siedono a fianco dell'Assoluto Mistero senza esserne orgogliosi, perché per chi è santo l'orgoglio e l'umiltà sono entrambi orribili difetti.

Colori pericolosi


C'è correlazione tra l'interno e l'esterno di qualsiasi cosa nel senso che, di solito e salvo eccezioni, l'esterno tende ad avvisare di cosa si celi al suo interno. Se un insetto è velenoso lo dice con colori sfacciati, come volesse significare di non temere la visibilità perché si devono nascondere solo i buoni da mangiare. Nell'uomo le cose sono un po' più complesse, a causa della sua bassa posizione nella gerarchia che ordina tra loro gli esseri, in dipendenza del grado intellettivo dal quale sono afflitti. L'uomo ha il suo più serio limite nel fatto di poter pensare e, di seguito, pure parlare, e questo lo esime dal dover mostrare di essere pericoloso attraverso una esagerata colorazione esteriore. L'essere umano utilizza la propria intelligenza discorsiva allo stesso modo in cui un serpente a sonagli sbatacchia il codino, con la differenza che il serpente lo fa per allontanare l'eventuale nemico, mentre l'uomo spara cazzate per farseli i nemici…

Scherzare sui difetti altrui

La questione se sia lecito scherzare sui difetti fisici è stata aperta in un lontanissimo passato, quando ci si accorse che tutti hanno qualche difetto e, di conseguenza, tutti si sono messi di comune accordo per evitare di farselo notare vicendevolmente. Siamo un mondo di diversamente disabili, su questo non si discute, ma ci sarebbe da dire sul prendere in giro i difetti psichici, perché l'intelligenza individuale è una delle componenti della psiche umana. Poiché è brutto scherzarci sopra si deve concludere che l'uomo non ami sottolineare le proprie problematiche, prova vivente del proprio essere imperfetto. Sarebbe quindi meglio scherzare esclusivamente sulla perfezione, quando ce la si trovasse davanti, e mi pare sia quello che è stato fatto col Cristo... certo in un modo un poco brusco, ma si sa com'è l'essere umano... non scherzare di qua, non scherzare di là e alla fine, quando si trova qualcuno sul quale si può scherzare... si esagera sempre...

giovedì 16 maggio 2013

Delle penne e delle pene


Oggi le scuole di scrittura creativa, che ieri manco esistevano, hanno molto successo, probabilmente a causa di internet. È facile far leggere in rete le cose che si scrivono, e farle soprattutto leggere a persone diverse dagli amici e dai famigliari i quali, sommersi dalla commozione che suscita la penosa aspettativa di uno scrittore disperato, non temono di finire all'inferno per essersi complimentati col disgraziato che li ha obbligati a leggere. Le scuole le ho sempre detestate, almeno la metà di quanto i professori che le stesse contenevano hanno detestato me, ma non mi sentirei di negare che qualcosa di buono riescano pure a farlo, nell'eventualità che possano contare su degli insegnanti che a scuola non ci sono mai andati. Scrivere è piuttosto facile, una volta che si siano apprese la decina di regolette utili a non far rotolare a terra dal ridere chi legge, ma il difficile viene dopo, quando entra in ballo l'arte di saperle applicare. Imparato l'essenziale, di grammatica e sintassi, si entra nel vivo della ragione per la quale chi poteva dedicarsi alla propria felicità ha commesso l'imperdonabile errore di credere che si è felici solo quando si rende felice il prossimo. Il prossimo si sentirà felice anche se proverà pena per chi ha scritto ciò che ha appena avuto la sventura di leggere, felice di non aver mai pensato di dedicarsi alla scrittura creativa. È il senso quello che ti frega quando tenti di mettere, nero su bianco, tutta la tua stupidità, perché il senso è direzione, e se non sai dove andare è meglio non portare con sé bagagli inutili.

La sete di verità


La sete di verità è sete perché l'intelligenza è infelice di avere poca acqua con sé...

Fuori di sé


L'essere fuori di sé ha un doppio significato: dato il sé come essenza spirituale, centrale e universale, dunque identica per tutti gli esseri, che è radice della manifestazione, esteriore ed egoistica chiamata "ego", si deve dire che la maturità di un individuo è in relazione al grado di prossimità dell'ego al sé. Più gli è vicino e meglio stanno le cose per quell'essere che è accanto alla consapevolezza di sé. Detto questo va ricordato che le ragioni per essere fuori di sé sono tante e diverse tra loro quanti sono gli individui sulla lunga strada che conduce a essere consapevoli e centrati universalmente alle proprie possibilità di essere. In dipendenza della qualità di queste ragioni cambierà il modo di essere fuori di sé. In tutto l'Oriente chi è fuori da sé è visto come un essere toccato dal Cielo, perché la follia può essere la conseguenza di un allontanamento anche dalla superficialità dell'ego. Fuori di sé lo si è certamente, ma fuori dal lato oscuro di sé significa essere più vicini al Cielo anche se è una vicinanza passiva, dunque limitata dal dover subire volontà altrui. Diversamente la lontananza dal sé centrale è segno di immaturità, ma non è l'unica condizione necessaria per essere invasi dal male, perché c'è un lato nascosto in ognuno che ripara dal male proprio attraverso la non consapevolezza che costituisce una barriera insuperabile per le orde di Gog e Magog. Il male non si accontenta della superficiale stupidità, vuole corrompere in profondità, ed è per questo che per essere preda del male occorre volerlo con forza, e con quello che resta della propria malata intelligenza. Essere "centrati" nel sé implica la realizzazione spirituale che è identificazione con l'Assoluto, e chi credesse di esserci vicino solo per il fatto di pensarlo mostra di esserne molto, ma molto lontano... La condizione indispensabile all'avvicinamento, che è maturazione delle proprie possibilità di perfezione, è data dall'essere stati iniziati da un vero maestro, il quale ha trasmesso l'influenza spirituale proveniente dall'Assoluto, e l'ha trasmessa per volontà espressa dall'Assoluto attraverso segni inequivocabili. L'iniziazione è solo il primo passo verso l'entrata nella sfera spirituale, compiuto attraverso la consapevolezza al di sopra del tempo dei princìpi universali che ordinano la manifestazione dell'esistenza. È detto che rari siano gli iniziati al Mistero dello Spirito, ma una moltitudine rispetto a quelli che muoveranno il secondo passo entrando nel fiume che divide la sponda dell'individuale da quella dell'universale. Ancora è detto che molti sono quelli che vi annegano nel tentativo di imparare a nuotarvici, e quasi nessuno arrivi ad appoggiare il piede sull'altra sponda.

Specializzato nel dare definizioni.


Avrò avuto all'incirca quattro o cinque anni quando, alzando una sera gli occhi al Cielo, un pensiero adulto mi attraversò la mente, tentando di folgorarmi. Non ci riuscì, ma lasciò dietro di sé una scia impressionante di conseguenze disastrose. Pensai a come avrei potuto definire il Cielo stellato. Senza accorgermi di nulla in quella sera si stagliò, all'orizzonte delle mie possibilità, una terrificante abilità nel rifilare definizioni a una realtà che sempre più malvolentieri mi circonda. Dare definizioni che abbiano un certo grado di precisione, in un universo che incessantemente si muove, conduce nel campo minato dell'umorismo e, in genere, chi elabora definizioni lo scopre sempre troppo tardi. Io lo scoprii che ero ancora un bambino, leggendolo nel sorriso di sufficienza di chi aveva la pazienza di ascoltare le mie spiegazioni. Oggi, divenuto meno furbo, le definizioni elaborate a quel tempo le ho complicate assai, così da non lasciare dubbi sulla mia coglioneria, perché chi ama definire detesta il dubitare altrui.

Il cazzeggio


Il cazzeggio è sottovalutato da chiunque cazzeggi, e pare sia sensato non dargli l'importanza che merita, eppure... la leggerezza spensierata che ne consente l'espressione è auspicabile, così come il buonumore che procura. Cazzeggiare non consuma il tempo come accade quando si sparano minchiate credendo siano cose serie. Il cazzeggio è consapevolezza di stare sul piano dove l'errore è quasi sempre di poco conto e, se non lo fosse, lo si dovrebbe chiamare irresponsabilità. Si può cazzeggiare con chiunque tranne che con se stessi, perché in questo ultimo caso lo si deve definire come un tentativo di sfuggire alle proprie responsabilità. Il cazzeggio rifiuta ogni tipo di responsabilità ed è per questo che il Padreterno, quando ha creato l'universo, non ha lasciato un cazzo di recapito... :D

mercoledì 15 maggio 2013

Gli Gnu non soffrono di solitudine


Ci sono delle volte nelle quali viene facile formulare un pensiero che ha tutta l'aria di potere risolvere il disagio che lo ha evocato.
In una di quelle volte devo aver desiderato di rinascere Gnu.
Mille volte ho maledetto quel desiderio, probabilmente dettato dalla solitudine che devo aver vissuto in quell'altra vita, ma ora che son qui, in questa savana del cazzo, non mi resta che fare i conti con l'erba secca e insapore, la scarsità d'acqua, le labbra asciutte che si spaccano al vento dato dal correre continuo, e il polverone che mi intasa le narici sanguinanti. Mi sono stancato di non essere solo, questo è certo, e l'unico mio pensiero, ora, è quello che m'invoglia a conoscere da vicino un leone che provi pietà per la mia insopportabile condizione.

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Devo essere stato un animale coraggioso, nell'esistenza che ha preceduto la disgrazia di essere ancora qui, a vivere il dolore del dover soddisfare un coraggio accumulato che mi dà la nausea. 
Un leone come me non è mai felice, perché lo accompagna il ricordo del terrore che ha fermato il cuore delle sue vittime.
Sono stanco di dover uccidere per vivere, e preferirei avere l'ardire di divorare la stessa erba, secca e schifosa, che sta brucando quello Gnu che si è isolato dal branco. 
Oggi mi pare un buon giorno per provarci, perché quello stupido animale, ancheggiando provocante davanti ai miei occhi lucidi, sta offendendo la dignità del mio dover conquistare la vita…

Sullo scrivere...


Tante sono le strade di realizzazione personale, tante quanti sono gli individui a percorrerle, e sempre ognuno cammina sulla propria anche quando tiene la mano di altri. Più ci si avvicina al Centro, dalla circonferenza che è distante da quel centro, e minori saranno le differenze che distanziano tra loro quelle vie. Scrivere non è importante quanto il camminare, nemmeno quando racconta di quel cammino.

In pochi vedono ciò che sei veramente e...


Quei pochi che ti conoscono per quello che sei veramente hanno solo più ragioni per detestarti, qualsiasi cosa tu sia... Perché se sei buono la tua bontà sminuisce la loro, e se sei cattivo la tua cattiveria è superiore alla loro.

Andando sul personale


Ecco, si sarà capito facile che ho avuto un passato... come dire... movimentato mi pare riduttivo, diciamo agitato che suona più verosimile. Non so nemmeno io come mai, né sto cercando di giustificare il mio aver sempre scelto vie inopportune, cercando di convincere la vita che ne sapevo più di lei. La vita non è che si possa dire che ne sappia granché, quella si muove attraverso leggi che non hanno bisogno di capire, ma a quel tempo ancora non lo sapevo. Di fatto le cose mi sono andate discretamente di culo, se sono ancora qui a raccontare, diversamente da come è andata a molti amici, ma si sa come vanno le cose, a volte, si può inciampare in una piccola fessura e fracassarsi il cranio oppure, ed è il mio caso, finire dentro un largo buco rompendosi solo una trentina di ossa. Essere un barometro naturale è alquanto fastidioso, ma per fortuna la gente ha smesso di chiedere alle mie ossa le previsioni del tempo da quando c'è internet, e io ho smesso di raccontar loro bugie.

Il Rif...


Stazione degli autobus di Tètouan... sud della Sicilia dall'altro lato della costa... l’autobusporto coi cessi più raffinati del sub-continente... lì le mosche non hanno bisogno delle ali per volare, sci-volano sugli olezzi che disegnano nell’aria circonvoluzioni solide che, quando li vanno a pulire (mai), fanno prima a ricostruirli. Per questo gli autisti non fumano hashish... non farebbe loro alcun effetto. E guidano da dannati, perché la vogliono far finita con questa vita infame. L’autobus, da Tètouan, arriva spedito e quasi in piano fino alla prima salita che conduce a Chefchaouen, amena cittadina che te la mena per farti comprare la terzera di piante scadenti, che vengono accatastate con la menta perché emanano poco profumo. Dopo qualche litigata si risale sull’autobus che dirige a Ketama, ma fa tutte le fermate a ogni villaggetto sotto la carretera, dove bimbi rompicazzo ti offrono sempre la solita terzera, ma più scura perché maneggiata tutto il giorno con le mani sudate. A mezza strada ci si ferma a una fontana dove ci si becca la diarrea, che garantirà le future allucinazioni. Il tragitto d’andata, che passa sopra le coltivazioni di marijuana (kife), è meno pericoloso del ritorno perché, oltre a essere in salita fino a Ketama, non ha passeggeri marocchini che trasportano placche di hashish inscocciate sulla schiena e che si siedono vicino agli europei per dire alla polizia, quando li becca, che lo stanno portando al turista che hanno di fianco, il quale, di solito, si schioppa tre mesi in cella con cinquanta marocchini i quali pensano sia giusto che l’ultimo arrivato serva tutti. Ma la corriera è rose e fiori al confronto di quello che può succedere a chi il viaggio lo affronta con i propri mezzi... Quella che segue è una storia che mi ha avuto come pietoso testimone:

Lui era un disabile, e se aveva altre abilità queste non erano immediatamente visibili, e stava seduto su uno di quei motorini a tre ruote col manubrio lungo, che conferisce al mezzo una stabilità da pattinatore alla sua prima volta, e caracollava felice sul suo mezzo a due tempi che sparacchiava irregolare, perché a quell’altezza devi smagrire la miscela per la rarefazione dell’aria e lui (il diversamente disabile), l’unica rarefazione che conosceva era quella delle sue ossa, che scricchiolavano in sintonia col mezzo il quale, a un certo punto, si è trovato di fronte un nugolo di ragazzini urlanti che gli gesticolavano di fermarsi per vendergli schifezza. Preso dal panico, il motociclista, con un piccolo scarto, ha innescato nel mezzo una paurosa serie di sbandate che l’hanno indirizzato giù dalla scarpata di terra, verso le case più in basso. I marocchini di Tamelzite sono sì dei rompicoglioni, ma anche delle brave persone, e l’hanno immediatamente soccorso con tutti i riguardi, accarezzando quei poveri resti, sia del motorino, che dell'autista il quale, inchiodato al motorino da due cinture incrociate di cuoio, l’aveva fedelmente seguito nei suoi rimbalzi fino in fondo alla ripida scarpata, di una trentina di metri alta. L’hanno ospitato in fattoria di Stito per due mesi, e una volta guarite alcune non gravi fratture, lo hanno sorpreso facendogli trovare il motorino rimesso a nuovo da un meccanico di Bab Berred e, già che c’erano, gli hanno riempito il telaio di zero-zero di qualità (hashish buonissimo) per scusarsi dell'accaduto. Lui è ripartito felice, e anche un po’ preoccupato per la frontiera. Non se ne è più saputo nulla, ma resta l’atroce sospetto che non gli sia stato facile evitare il successivo gruppo di ragazzini, che sicuramente lo avrebbe aspettato sulla carretera in prossimità di uno dei numerosi villaggi che costellano quei monti, così apparentemente tranquilli, come i sugheri che li punteggiano degradando svogliatamente fino al mare...

martedì 14 maggio 2013

Chi sono io?


Sono uno che sa che la strada che divide i marciapiedi del bene e del male è larga, senza semafori, e con un traffico bestiale. So anche che tutti vogliono convincersi di stare sul lato del bene e io pure lo ero, fino a quando il bene, dall'altra parte della strada, mi ha salutato. All'inizio ho fatto finta di niente, non mi andava di guardarlo dritto negli occhi, tanto più che non ero così sicuro guardasse me, ma quello insisteva. A un certo punto mi sono convinto che quello non poteva essere il bene: mica è così sfacciato lui. Lui è garbato, suggerisce con consigli lievi, e non ti scruta importuno come faceva quello. Ma quello insisteva ancora e non mi mollava. Così mi son detto:— Adesso vado di là e gli spacco la faccia!—
Sono arrivato di là praticamente dopo una serie di rimbalzi da un cofano all'altro di situazioni che, vedendomi attraversare, non hanno nemmeno accennato a rallentare e anzi, parevano quasi volermi impedire di arrivarci. Ma ci sono arrivato, finalmente. Scassato, ma di là. 
Il bene, intanto, dall'altra parte della strada salutava imperterrito. 
Chi non si sarebbe incazzato a quel punto?
Riattraverso deciso, quattro rimbalzi e son di là, senza neanche aver perso troppo sangue, ma lui non c'era. Era ancora dall'altra parte.
— Fanculo a lui, se crede di pigliarmi per il culo, io riattraverso!—
Ormai sono diventato uno specialista dell'attraversamento, i cofani fanno sempre più fatica a centrarmi, mi rialzo sempre più rapidamente e pure il bene ha smesso di salutare. Mi guarda attraversare. Sa che non mi deve più chiamare, ha capito che ho capito di non avere scelta. Scusatemi ora, ma devo proprio attraversare...

Già che ci si imbroglia perché non chiamarla Camionstima?

L'autostima è il modo nel quale ci si imbroglia per vendersi a se stessi...

I racconti dell'incubo: Dio è ovunque


All'aprirsi pesante del grande portone di quercia un soffio gelido entrò prima di tutti, insinuandosi nelle crepe aperte dalla morte dei simboli sacri che un mosaico, antico e consunto, mostrava a un cielo che le alte navate, agitate di demoni, oscuravano. "Deus ubicumque est"... esaltava una scritta gotica, ingrigita di muffe, che dominava l'abside dentro al quale una grande croce inchiodava, impietosa, un Cristo dagli occhi rassegnati e rivolti verso l’alto. In lenta e monotona processione sguardi cupi tagliavano il buio da volti deformati dall’odio, e varcavano il sacro confine che lasciava fuori il dubbio per non far entrare certezze. Quei tenebrosi corpi lentamente si disposero in strette file parallele, legate dall’astio che le teneva tenacemente ordinate, e un comune destino di esecrabile sofferenza le obbligava a invocare una morte atroce per nemici che non potevano perdonare. Rimpiccioliti, in fondo al girone infernale, un prete e due servi parevano artigli coi quali il fetore ornava la bestemmia di trovarsi in quel luogo, voluto dalla santità di coloro che se ne erano andati, disgustati dall’umano degrado. Nessuno di quegli insulti al cielo conosceva il momento esatto nel quale piegarsi, e tutti si inginocchiavano soltanto per mostrare all’altro di esserne stati capaci. La funzione iniziò col solito lamento prolungato, quasi reclamasse una grazia che rifiutava da sempre, e fu seguito dall’incespicare di formule che avanzavano feroci, in un coro imparato dalla memoria che ha ogni meccanismo spento: “Deus ubicumque est, et cum Spiritu tuo”… 
Cristo, disperato dai chiodi di quelle volontà perdute, aspettava come sempre e guardava alto, pregando il Padre, anche se sapeva che nemmeno quel giorno una mano ne avrebbe accarezzata un’altra allo scopo di farlo scendere dalla croce.
“Deus ubicumque est”… le gole urlavano, ignorando che fosse vero, e che solo un atto d’amore avrebbe potuto fermare il male.

lunedì 13 maggio 2013

I racconti dell'incubo: Un'inaspettata sorpresa


“Vivere è un lento e non sempre progressivo morire”, l’aveva sentito dire molte volte e, per lui, era vero. Aveva cominciato a seppellirsi le unghie, poi i denti, un’appendice dell’intestino, non avrebbe saputo dire quanti chili di epidermide a scaglie, lasciate in giro a tener compagnia al vento col quale la vita lo sospingeva verso la possibilità di farla finita, in anticipo e con un colpo d’orgoglio, e ora, finalmente, ne aveva avuto il coraggio. Tutto era stato previsto, angoscia e impatto compresi, ma non lo scoprire che la gallina viene prima dell’uovo.

Dio, con tutte quelle piume, era davvero magnifico.