sabato 19 aprile 2014

Maschere vere

Quella maschera l'aveva scelta perché era l'unica con la quale la sua personalità non aveva punti di contatto, a parte quelli sui quali la gomma verde di cui era fatta solleticavano la pelle, favorendo l'insorgenza di piaghe da decubito. I princìpi che governano l'esistenza esercitano la loro influenza su ogni aspetto della realtà, e per quanto si sforzassero… le maschere, così come le menzogne, non potevano sottrarsi alla norma che regola ogni contraffazione, imprimendole i segni tipici di una parodia della verità, quella capace di tradire il vero nella convinzione che la verità non esista. Questo gli faceva amare il carnevale, l'unico giorno nel quale l'eccezione irrompeva nella consuetudine, per liberarla dagli obblighi che l'esteriorità ha di rappresentare, anche se a modo suo, l'interiorità; per questo aveva scelto una maschera mostruosa, così lontana dall'immagine che lui aveva di sé. In fondo i mostri gli erano sempre piaciuti, allo stesso modo del loro dover lottare contro la bellezza di un mondo che non li ama.
A quel pensiero digrignò le fauci, facendo sobbalzare una vecchietta che sotto alla maschera non nascondeva di certo il coraggio.
Gli piaceva spaventare la gente, a chi non sarebbe piaciuto farlo dopo aver vissuto nella continua paura?
Finse di grattarsi una pustola di gomma, strofinandosela contro la sua vera pelle, provando grande piacere nel calmare il prurito che la tuta gommata infliggeva al suo corpo, flaccido di un gonfiore dal colore di birra e cioccolata, che riuscivano a convivere nel disgusto che ognuna nutriva per l'altra.
Intanto, all'esterno di quel mondo strano che in quel giorno aveva deciso di rendere pubblica la falsificazione di sé, la stagione dei colori che stanno morendo faceva sentire la sua anima meno triste, rinnovando il miracolo che la compassione dell'altro porta con sé.
La tristezza accompagna l'euforia di ogni carnevale, e solo le maschere sanno perché, nel loro agitato sogno che cancella l'essere di tutti i giorni, inutili e pericolosi, che la vita assegna con indifferenza.
Forse, pensò, solo la verità riesce a essere gioiosa, e non per quello che rivela tacendo, ma a causa del suo coraggio nell'affrontare la pigrizia che motiva la falsità.
Si mise a ballare con gli altri di quel corteo sghignazzante e rumoroso, cercando di immaginare la vera espressione dei volti che sbirciavano da buchi che la falsità non riesce a chiudere, ma nessuna immagine lo confortava e in questa tristezza si sentiva capace di tutto, perché all'interno della forma che si era dato c'era la libertà che accompagna chi non doveva mentire più... perché la menzogna mentiva per lui.
— Ma che razza di uomo sono diventato?— si disse, improvvisamente, nella meraviglia che il guardarsi dentro aveva suscitato
— Mi sento simile alla mia maschera, che è incapace di mentire dicendo il vero di ciò che essa è— e in questo non poter più falsificare il suo essere il pensiero mostrava ribellione, nel voler gettare la maschera che ogni pensiero è nei confronti del silenzio.
Si fermò, e un'onda di triste delirio lo sorpassò senza vederlo, lasciandolo solo in mezzo alla via che lo aveva scelto per mostrare alle foglie che non sarebbero state le uniche a dover cadere.
Si spogliò del gommoso e appiccicoso vestito, rimanendo a tremare in mutande sotto lo sguardo stupefatto di un universo che non ama lasciare le proprie prede libere di scavalcare il recinto costituito da ciò che non è immaginabile.

Lentamente tornò sui suoi passi, rinunciando alla verità detta dalla bugia che gli aveva giurato di non essere il mostro che ora sapeva di essere stato.

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