giovedì 8 maggio 2014

Una cosa così piccola...

Una cosa così piccola non avrebbe dovuto avere la necessità di pensare. Va bene che il pensiero non è poi nient'altro che il mezzo che esprime il frutto dell'intuizione, e poiché l'intuire è realtà della quale il pensiero può solo raccogliere macerie, senza sapere quale sia stata la costruzione che, crollando, le ha prodotte, sarebbe anche lecito dire che il pensiero avrebbe conseguito risultati migliori se si fosse affannato con due aghi attorno alle smagliature di una vecchia calzetta.
Sta di fatto che sta cosa piccolissima pensava e, ovviamente, intuiva pure. Certo, il suo intuire non è che si potesse definire proprio un intuire di qualità superiore, era piuttosto un annusare, con lo spirito, cose sconosciute da gettare in pasto a processi mentali che prontamente le decodificavano, operando con uno stile da riconvertitore di rifiuti. La diossina, innalzata al cielo da questo processo, a questa piccola cosa pareva poesia pura, che incidentalmente sbordava, a volte, nell'elucubrazione trascendente.
Pur essendo così piccola questa cosa era costretta, come tutto il resto dell'esistente, a celebrare, con la sua presenza che aveva l'aria di non essere necessaria, la Possibilità universale, la quale si esibiva in una creatività così esagerata da avere, come unico limite, l'impossibilità. La Possibilità non mancava poi di sottolineare, rivestendola di incongruenze ridicole, ogni contraddizione alle sue stesse leggi, dando alla contraddizione il senso dell’insensatezza che è giusto che abbia.
Insomma, in questa piccola cosa ci stava tutto un universo, analogo a quello mastodontico che riempiva una grandezza indefinita, perché si esprimeva attraverso gli stessi suoi princìpi. Sarebbe forse più preciso dire che era il mastodonte a seguire le leggi che regolavano le piccolissime cose di cui era composto, ma non staremo qui a confonderci più del necessario.
Un bel giorno, a immagine di un accidente cosmico imprevisto, questa piccola cosa ebbe un contraccolpo strano, e il suo minuscolo apparato visivo mise a fuoco la correlazione che legava il suo esserci alle ragioni dell'esserci di tutte le cose. Fu un bruttissimo colpo per lei che, fino ad allora, era stata fermamente convinta di potersi fare i cavoli propri, di nascosto da tutto e da tutti. In fondo era l'unico vantaggio che le pareva di poter godere a essere così piccola. Lo scoprire, di colpo, che tutte le sue intenzioni, i suoi pensieri e gli atti scorrevano sullo schermo in technicolor del Creatore, che stava lì a riderci sopra masticando pop corn, la rese timida e circospetta ancor più del necessario, e le inflisse il sospetto che tutto l'universo costituisse una trappola, al cui centro lei ci stava non solo a disagio, ma anche incazzata nera.
Tutto quel che le era, fino ad allora, apparso come il risultato caotico di un rigurgito da cattiva digestione ora aveva acquistato un senso unico, preciso e ineluttabile, almeno per lei, e in conseguenza di quel senso ai suoi occhi si era resa evidente la direzione vorticosa che spingeva tutte le cose verso un destino unico e incontentabile.
Non era certo il pensiero di diventare una qualche sorta di cibo che la spaventava, lei sapeva bene di essere disgustosa e troppo piccola per sfamare altri esseri, ai quali lei aveva la missione di procurare una febbre terribile, che li prostrava in abbondanti sudori, venefici e disintossicanti.
Lei, piccola e spaventata cosa, si era sempre immaginata che quelle gocce di sudore fossero elementi casuali, simili agli imprevedibili spruzzi d'orgasmo che avevano le onde dell'oceano, e che avevano come unico significato quello di mostrare l'inconcludente e vanesia opera di un universo stupido.
Ora, a causa di un infido colpo di luce che si era ricordato di lei, questa piccola cosa era precipitata nella certezza che anche la più minuta goccia di quel ribollire costituiva un accidente che non poteva dirsi casuale, e non poteva proprio perché era parte ed effetto delle leggi che regolavano il liquido inebriante che intesseva l'esistenza di ogni realtà, la propria compresa, e capì che il suo sudare, il suo piangere e il suo sanguinare veleno erano parte di un progetto libero il quale, attraverso la libertà di spruzzare in tutte le direzioni, seguiva un solo ed essenziale senso, sempre lasciando a tutti la libertà di intuirlo, seguirlo o lasciarlo dietro di sé.
Tutte quelle goccine, minuscole quasi quanto era lei, erano libere di scontrarsi, sommandosi o dividendosi, innalzandosi o abbassandosi, entrando o uscendo, di associarsi o di combattersi, e la guerra o la pace che da questa danza prendevano forma, oppure morivano, erano arabeschi della medesima intenzione trascendente che intesseva, con pazienza al di sopra del tempo, la propria aspettativa di armonia universale.
Questa cosa piccola si sentì ancora più piccola, spettatrice e attrice di una commedia nella quale ogni elemento che la componeva scriveva da sé la propria particina, e lo faceva attorno a una sceneggiatura che era stata sì imposta, ma era così vasta da non negare la libertà di correggere, o di togliere, i suoi funerei paramenti.
Era un magnifico spettacolo quello che ora si apriva all'appuntito sguardo della piccola cosa che, incantata, si era scordata di recitare il suo copione naturale: produrre febbre la quale, innalzando la temperatura corporea dell'essere che la ospitava, avrebbe aizzato le difese organiche di quel corpo contro l'esercito dei batteri nemici che l'avevano infestato.
La conseguenza fu devastante, e quel grande essere morì entrando di nuovo, ma in un altro stato, nel ribollente pentolone cosmico da dove il suo destino avrebbe voluto che lui ne fosse uscito in un più dignitoso e consapevole modo.
Chi avrebbe potuto immaginare che, in tutto quello sbattere rimescolato di spruzzi che velavano il proprio senso, si nascondesse la ricetta di una inaspettata, possibile, e infinita libertà?
La piccola cosa si accorse di dover morire insieme all’essere che l’aveva ospitata, e si dispiacque che, per una sua mancanza, sarebbero morte anche le altre piccolissime cose che in lei dimoravano.
Il suo ultimo sguardo uscì dalla nuova consapevolezza sicuro di avere ancora altre particine da recitare, nell’immane spettacolo che il vortice cosmico le avrebbe imposto, per riparare all’errore di non avere adempiuto ai termini del contratto silenzioso che la sua vita aveva stipulato con la morte la quale, insoddisfatta del risultato, le avrebbe teso un’altra, movimentata, trappola.


Nessun commento:

Posta un commento