mercoledì 23 dicembre 2015

Dove abita Babbo Natale

Quella che sembrava una casuccia era piccola, quasi sperduta nella distesa dei pini che attorniavano Korvatunturi, chiazza bianca di case semisepolte nel bianco della Lapponia, ma sotto di lei si snodava, in cunicoli segreti, il più bel laboratorio di giocattoli del pianeta. Praticamente quasi tutti i folletti e i nani di quella sterminata foresta ci lavoravano senza sosta, giorno e notte, seguendo turni che solo gli elfi sapevano organizzare, loro che non dormivano mai e che frizzavano, con le fate, in giochi che ai nani parevano infantili, dai loro giudizi seri, come solo i nani sanno essere. In quel magnifico luogo il litigare non era bandito, ma si limitava ai dispetti che tutti facevano a tutti, tanto il "Principale" non c'era quasi mai a controllare, perché doveva riposare nel letto più nascosto di quel castello, messo al contrario, con le torri ficcate nel terreno caldo. Questo, però, non impediva che il suo russare allertasse e facesse quasi silenzioso ordine, nel formicolio di esserini che percorreva indaffarato quei corridoi, tempestati di pietre luccicanti che seguivano, col loro brillare, saltellanti folletti carichi di campanelline, pupazzi di peluches, bamboline e persino armi giocattolo. Ecco, le armi giocattolo erano una delle principali ragioni che motivavano gli scherzi tra i costruttori dei due reparti più impegnati dell'officina del gioco: le fatine che facevano le bambole e i gremlin che montavano le armi. Le fate mal sopportavano che, ai gremlin, fosse stato dato anche l'incarico di occuparsi della costruzione dei robot computerizzati, perché erano sempre state loro a costruire i sofisticati circuiti che facevano muovere le loro bambole più moderne. I gremlin, invece, gioivano soddisfatti, e quando le fatine andavano a giocare con gli elfi di luce, s'intrufolavano nei loro laboratori e infilavano misteriosi e malvagi circuiti elettronici nelle loro bambole che, così, diventavano cattivelle e vendicative. Le fate non è che stessero proprio lì solo a giocare, quella era solo la scusa per entrare di soppiatto nei laboratori dei gremlin, quando loro andavano a ubriacarsi, per mettere i circuiti elettronici delle loro ultime creazioni tecnologiche di bamboline elettroniche, nelle armi dei gremlin le quali, invece di sparare palline colorate che macchiavano di vernice... piangevano, chiamando la mamma e facendo la pipì addosso a chi, sorpreso, le impugnava.
Quell'anno il Natale tentò di cambiare il mondo, cambiando il modo di giocare dei bambini: le guerre somigliavano sempre più al gioco della mamma che va a fare la spesa col mitra, mentre bambole esplosive, invece che piangere... facevano piangere. 

— È la fine del mondo!— disse Babbo Natale, che ancora non sospettava di esserne il principale responsabile, alla moglie brontolona che gli stava spazzando la slitta mezza bruciacchiata dai colpi che alcuni bambini gli avevano sparato contro e lei, con un'occhiata disincantata che la sapeva lunga, lo squadrò nella sua tuta da lavoro, rossa e ridicola, e gli rispose di andarsi a cambiare e lavare che così faceva davvero schifo.

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