martedì 12 gennaio 2016

In entrambi i casi sarei rovinato...

Riesce difficile, osservando un corpo morto, non chiedersi quali potessero essere le ragioni della vitalità che lo teneva in vita.
L'interiorità che lo scaldava e illuminava non c'è, in un cadavere che si avvia verso il disfacimento come fosse un'auto in discesa priva di conducente.
Ma chi è il conducente che è stato capace di far sorridere o piangere una salma?
Che consistenza ha, se ne ha una?
In fondo l'intelligenza è consistente solo nelle azioni che induce a compiere, e se quel conducente fosse assimilato all'intelligenza?
Significherebbe che troppo autisti non arriverebbero a guardare oltre il parabrezza dell'auto.
Non dev'essere l'intelligenza, ma l'individualità che si esprime attraverso la propria intelligenza.
E cos'è l'individualità?
È il modo che l'universalità del Centro dell'universo ha di mostrare la propria unicità nel mondo manifestato, è la diversità espressiva dell'unità di principio che entra nell'universo, pur mantenendosi al centro di Sé stessa che non è nell'universo.
Sono io e sei tu, diversi, ma estensioni della stessa unica centralità, quella che mette in atto nell'esistenza le proprie infinite potenzialità.
Io sono il figlio di questa silenziosa centralità, che tace e osserva ciò che faccio e sono, e ha la pazienza di sopportarmi giusto perché non essendo sottomessa allo scorrere del tempo... l'eterno istante per la centralità non si replica nei secondi che si rincorrono nella diversità del loro esserci.
Tutto ciò che conosco, penso e faccio, sono io, e sarò valutato per gli sforzi fatti, non per i risultati ottenuti.

In entrambi i casi sarei rovinato...

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